Licenziamento dell'invalido

Oltre all'ipotesi di licenziamento per esito negativo della prova, il disabile può essere licenziato per giusta causa o per giustificato motivo soggettivo ma anche per giustificato motivo oggettivo o per riduzione di personale.

Con una recente pronuncia, ancorché non riferita alle assunzioni effettuate ex legge n. 68/1999, la Cassazione (1) ha ritenuto che «II licenziamento dell'invalido assunto in base alla normativa sul collocamento obbligatorio segue la generale disciplina normativa e contrattuale sol quando è motivato dalle comuni ipotesi di giusta causa e giustificato motivo, mentre quando è determinato dall'aggravamento dell'infermità che ha dato luogo al collocamento obbligatorio, è legittimo solo in presenza delle condizioni previste dall'art. 10, legge n. 482/1968, ossia la perdita totale della capacità lavorativa o la situazione di pericolo per la salute e l'incolumità degli altri lavoratori o per la sicurezza degli impianti, accertati dall'apposita commissione medica; nel caso in cui all'invalido risulti una capacità lavorativa, inoltre, sussiste in capo al datore di lavoro l'obbligo di adibirlo a mansioni equivalenti o anche inferiori compatibili con il nuovo stato dell'infermità, se la struttura organizzativa dell'azienda e la situazione dell'organico aziendale 10 consentono.

A tal fine, deve ritenersi che il giudizio della commissione medica di cui all'art. 20 della legge n. 482/1968 non possa essere limitato alle mansioni in precedenza espletate dall'invalido, ma debba essere esteso anche alle altre mansioni allo stesso affidabili nell'ambito dell'azienda e che il licenziamento sia giustificato solo nel caso in cui la pericolosità, per le persone e per gli impianti, sia riferibile a tutte le mansioni in concreto affidabili all'invalido».

Il datore di lavoro deve, in ogni caso, comunicare agli uffici competenti l'avvenuta risoluzione del rapporto di lavoro al fine della sostituzione (2) del lavoratore con altro avente diritto.

In passato, la Corte Costituzionale (3), seppur con riferimento alla disciplina anteriore alla riforma del 1999, aveva dichiarato manifestamente infondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate in relazione al fondamento dell'istituto delle assunzioni obbligatorie, sull'assunto che esso costituiva concreta attuazione del disposto dell'art. 2 della Costituzione sui doveri inderogabili di solidarietà e che non comportava violazione dell'art.41 della Costituzione, sia perché la percentuale di assunzioni era quantitativamente contenuta, sia perché il minimo di capacità lavorativa richiesto esclude il carattere meramente assistenziale dell'intervento.

Queste affermazioni e giustificazioni costituzionali possono essere estese alla disciplina introdotta con la legge n. 68/1999. Su un piano generale si può altresì affermare che l'istituto trova la sua legittimazione nel disposto dell'art. 38, comma 3, della Costituzione, secondo il quale gli inabili e i minorati hanno diritto all'educazione e all'avviamento professionale.

Alla luce di queste considerazioni pertanto, sembra destinato a ricevere conferma anche l'orientamento giurisprudenziale e dottrinale che, in modo abbastanza uniforme, aveva riconosciuto, al lavoratore avviato alla stregua della precedente disciplina, un vero e proprio diritto soggettivo all'assunzione.

Per quanto riguarda i portatori di handicap, la legge n. 68/1999 presenta una stretta connessione con la legge 5 febbraio 1992 n. 104, la quale tende al concreto inserimento dei soggetti svantaggiati nel mondo del lavoro anche attraverso una specifica attività formativa demandata alle regioni e, in generale, con la promozione di ogni attività idonea a favorire l'inserimento e l'integrazione lavorativa dei soggetti portatori di handicap (4).

La medesima finalità è stata perseguita anche dalla legge 8 novembre 1991, n. 381(5), che promuove lo sviluppo delle cooperative sociali, cioè di quelle cooperative - sovente collegate al volontariato - che abbiano lo scopo di perseguire l'integrazione sociale dei cittadini attraverso la gestione di servizi socio-sanitari ed educativi oppure attraverso lo svolgimento di attività finalizzate all'inserimento lavorativo di persone svantaggiate, nonché dalle recenti normative in materia di contratto di formazione e lavoro e di formazione pratico-teorica.

Il recesso di cui all'articolo 4, comma 9, della legge 23 luglio 1991, n.223 (6), ovvero il licenziamento per riduzione di personale o per giustificato motivo oggettivo, esercitato nei confronti del lavoratore occupato obbligatoriamente, sono annullabili qualora, nel momento della cessazione del rapporto, il numero dei rimanenti lavoratori occupati obbligatoriamente sia inferiore alla quota di riserva prevista all'articolo 3 della presente legge (art. 10, comma 4).

In caso di risoluzione del rapporto di lavoro, il datore di lavoro è tenuto a darne comunicazione, nel termine di dieci giorni, agli uffici competenti, al fine della sostituzione del lavoratore con altro avente diritto all'avviamento obbligatorio.

La Direzione provinciale del lavoro, sentiti gli uffici competenti, dispone la decadenza dal diritto all'indennità di disoccupazione ordinaria e la cancellazione dalle liste di collocamento per un periodo di sei mesi del lavoratore che per due volte consecutive, senza giustificato motivo, non risponda alla convocazione ovvero rifiuti il posto di lavoro offerto corrispondente ai suoi requisiti professionali e alle disponibilità dichiarate all'atto della iscrizione o reiscrizione nelle predette liste.

Il datore di lavoro può, peraltro, risolvere il rapporto di lavoro con il soggetto disabile qualora, pur attuando opportuni adattamenti dell'organizzazione del lavoro, venga accertata (anche questo tipo di accertamento è riservato alle commissioni competenti) la definitiva impossibilità di reinserire il disabile all'interno dell'azienda (7).

A questo riguardo ci pare importante sottolineare che la Cassazione ha più volte ribadito che spetta al datore di lavoro l'onere della prova della non ricollocabilità dell'inabile.

Si profila, in questo caso, un'ipotesi di impossibilità sopravvenuta di lavoro del disabile, espressamente prevista dalla legge come causa giustifictrice del recesso da parte del datore di lavoro, avendo chiaro che tali fattispecie possono rientrare nell'ambito della tutela previdenziale, in particolare in quella della causalità di servizio.

Infine il datore di lavoro può non rientrare nell'obbligo di assunzione dell'invalido «solo» quando si riscontri l'assoluta impossibilità di un collocamento non pregiudizievole per l'invalido stesso, per i compagni di lavoro e per la sicurezza degli impianti ovvero quando l'invalido non sia assolutamente collocabile, in ragione della sua minorazione, in alcun settore - anche accessorio o collaterale - dell'intera azienda (8) o quando l'invalido «appartenga a una categoria professionale diversa da quella richiesta» e, infine, quando il datore di lavoro «fornisca la prova dell'assoluta impossibilità di inserimento non pregiudizievole dell'invalido in relazione a tutta l'area occupazionale dell'azienda, risultando al contrario irrilevante ogni scarto tra attitudini professionali ed esigenze aziendali». 

Legge 68, normativa di igiene e sicurezza Il medico competente e il giudizio di idoneità L'idoneità al lavoro della persona svantaggiata Licenziamento dell'invalido

(1) Cass., 7 luglio 2002.

(2) Art. 10, comma 5, legge 68/99.

(3) Cass. 15 giugno 1960, n. 38 e Cass. 11 luglio 1961, n. 55.

(4) Artt. 17 e 18, legge 104/92.

(5) «Disciplina delle cooperative sociali».

(6) Si tratta del recesso a seguito della procedura di mobilità previsto dalla legge 223/91 «Norme in materia di cassa integrazione, mobilità, trattamenti di disoccupazione, attuazione di direttive della Comunità europea, avviamento al lavoro ed altre disposizioni in materia di mercato del lavoro».

(7) Art. 10 comma 3, legge 68/99

(8) Cass., 12 dicembre 1998, n. 12516.

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