Parkinson, gli estrogeni rallentano la morte dei neuroni

La malattia di Parkinson è presente in tutto il mondo e in tutti i gruppi etnici. Si riscontra in entrambi i sessi, ma con una lieve prevalenza in quello maschile.

Da anni si discute sulla possibilità che la causa della ridotta prevalenza della malattia nel sesso femminile sia da imputare al possibile ruolo "protettivo" degli estrogeni, i principali ormoni sessuali femminili.

La possibilità che essi costituiscano un efficace strumento terapeutico rimane oggetto di studio. Questo e altri aspetti della patologia saranno approfonditi il 30 Novembre prossimo, in occasione della V Giornata Nazionale di sensibilizzazione sul Parkinson, promossa dal Comitato Limpe e Dismov-Sin.

Nelle donne vi è una maggiore quantità di terminazioni nervose dopaminergiche rispetto agli uomini e quando sviluppano la malattia presentano più frequentemente forme con tremore che sono generalmente ad andamento più lento e meno grave. Da numerosi studi recenti si evince che nella donna solitamente le forme di Parkinson sono meno gravi, perché protetta dagli ormoni femminili.

Gli ormoni sessuali influenzano infatti in maniera significativa il sistema dopaminergico, che risulta alterato nella patologia. I ricercatori stanno iniziando a comprendere l'effetto degli estrogeni sul suo sviluppo e sulla sua progressione e le ricerche più attuali suggeriscono l'esistenza di un rapporto inverso fra l'esposizione a essi nel corso della vita e il rischio di sviluppare la malattia.

E' stato osservato che gli estrogeni modulano la trasmissione dopaminergica, promuovendo la presenza di dopamina tra i neuroni.

Le evidenze sperimentali ottenute in laboratorio sono molto promettenti. Negli animali da esperimento come i topi, nei quali il patrimonio genetico è sovrapponibile a quello dell'uomo per l'85%, gli estrogeni aiutano le cellule nervose a riparare i danni dovuti all'età e, cosa ancor più importante, facilitano i neuroni, soprattutto nell'area nigrostriatale, a produrre una migliore e maggiore quantità di neurotrasmettitori. Gli estrogeni aumentano quindi la presenza di dopamina che diminuisce nel Parkinson, riducendo così il danno indotto dalla patologia.

Il ruolo neuroprotettivo degli estrogeni è determinato anche dalla loro capacità di abbassare la produzione dell'interleuchina 6 (IL-6). L'IL-6 è una proteina che agisce a livello sia pro sia anti-infiammatorio. Ha il compito di stimolare la risposta immunitaria, per esempio durante un'infezione o in seguito a un trauma o altri danni tissutali che portino a infiammazione. Dati recenti hanno dimostrato il ruolo che l'infiammazione gioca nella patogenesi della malattia e quest'ultima sembra proprio essere indotta da aumentati livelli di IL-6.

Da tempo nell'ambito della ricerca si è assodato quanto sia indispensabile cercare di identificare meccanismi e molecole in grado di diminuirne i livelli. Questo è il motivo per cui la scoperta sulla capacità degli estrogeni di diminuire il danno tissutale nei pazienti con Parkinson, è la strada che viene maggiormente percorsa da molti studiosi.

"La comprensione delle basi cellulari e molecolari delle differenze di sesso nella fisiologia del cervello e le risposte agli estrogeni - sostiene il Prof. Ubaldo Bonuccelli Direttore UOC Neurologia-AOUP del Dipartimento Neuroscienze-Università di Pisa e parte del Comitato Limpe e Dismov-Sin, promotore della Giornata Nazionale – può essere importante per comprendere la natura e le origini della condizione patologica sesso-specifica che risulta nel Parkinson e per la possibile progettazione di nuovi agenti terapeutici a base di ormoni che potrebbero avere ottimale efficacia negli uomini e nelle donne".

La terapia con estrogeni potrebbe rivelarsi utile per la cura di diversi disordini cerebrali, tra cui il Parkinson. Ci sono molti studi in letteratura che sottolineano l'esistenza di differenze nella morfologia, nella neurochimica e nella funzionalità cerebrale tra uomini e donne.

La terapia estrogenica può dare benefici generali, sulle vampate di calore, sull'umore, il sonno, i dolori articolari, la salute urogenitale, la sessualità, ma anche benefici specifici sulla salute del cervello.

E' stato inoltre dimostrato che la riduzione precoce dei livelli di estrogeni possa essere associata a un aumento del rischio di sviluppare la malattia. Un dato rilevante pubblicato da Walter Rocca e i suoi collaboratori della Mayo Clinic, ci indica che le donne che hanno subito una asportazione delle ovaie, entrando quindi precocemente in menopausa, hanno un rischio maggiore di sviluppare il Parkinson. Senza di essi sembra che il cervello invecchi prima e molto peggio. Assumere gli estrogeni non significa comunque distruggere la malattia, ma la terapia ormonale ha l'importante vantaggio di consentire una progressione della patologia più graduale e quindi meno aggressiva.

In definitiva, studiare l'origine delle differenze cerebrali tra uomo e donna e le risposte sesso-specifiche agli estrogeni, è fondamentale per capire suscettibilità, prevalenza, progressione e gravità del Parkinson. Raggiungere queste informazioni è determinante per poter avviare terapie personalizzate.

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