Punti di accesso per semplificare

Punti unici di accesso ai servizi socio-sanitari per semplificare la vita dei cittadini, ridurre la burocrazia, migliorare l'integrazione tra prestazioni sanitarie e sociali e, in definitiva, garantire i livelli essenziali di assistenza (Lea), in particolare per gli assistiti più fragili.

A 'promuovere' il modello di assistenza che punta su una sola 'porta' d'ingresso al Ssn, integrato con i servizi sociali, è l' Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali (Agenas) che ieri, in un seminario a Roma, ha presentato uno studio sul tema che, oltre a proporre una fotografia di alcune esperienze regionali ha messo a punto un modello di riferimento, indicando i requisiti indispensabili.

La ricerca, realizzata con 8 regioni, in collaborazione con diversi attori istituzionali, è durata oltre due anni e proseguirà nel tempo per monitorare lo sviluppo di questa forma organizzativa. "Il punto unico d'accesso - ha spiegato all'ADNKRONOS SALUTE Stefano Inglese, esperto di empowerment e cure primarie dell'Agenas - è uno strumento, una modalità organizzativa per evitare che un cittadino (soprattutto quelli più anziani età, che fanno i conti con una o più cronicità, con una disabilità) sia costretto a infinite peregrinazioni per godere di tutto ciò che il servizio socio-sanitario mette a sua disposizione all'interno dei livelli essenziali di assistenza". L'auspicio di questo studio che presentiamo "è quello che si punti a unificare, sia che lo si faccia in una struttura, cioè in un luogo fisico, sia che lo si faccia come funzioni, per migliorare la qualità del servizio e della vita del cittadino", dice l'esperto.

Il lavoro dell'Agenas "è stato soprattutto quello di estrazione di un modello potenziale - ha precisato Inglese - che indicasse tutto ciò che deve essere fatto per garantire un'assistenza 'organizzata' ai cittadini. Si è puntato ovviamente sugli aspetti funzionali, perché gli aspetti strutturali sono oggi appannaggio delle singole Regioni. Abbiamo, in sostanza, cercato di mettere insieme qualcosa che fosse utilizzabile e fruibile".

La ricerca finalizzata, svolta tra il 2006 e il 2007, ha avuto una fase di sperimentazione ristretta di 4 mesi (da febbraio a maggio del 2007) durante i quali gli operatori dei Punti unici di accesso (Pua) delle Regioni coinvolte hanno compilato questionari ad hoc. Dai risultati è emersa una grande variabilità organizzativa e, al tempo stesso, è stato possibile "evidenziare alcuni possibili comuni denominatori che permetterebbero l'adattabilità di un modello unico nelle diverse realtà". In generale sulle 8 regioni che hanno partecipato alla ricognizione, circa due terzi avevano attivato Pua da più di 180 giorni e, comunque, entro 6 mesi rispetto a quanto previsto dalla programmazione regionale.

Tutti i 'punti' sono di tipo sociosanitario e offrono "una risposta ai bisogni diversificati dei cittadini, mentre i destinatari principali sono soprattutto le "persone non autosufficienti, con patologie croniche, con disabilità e un accesso anche orientato alle persone con problemi psichiatrici e con dipendenze patologiche". Si è dimostrata "grande capacità di ricerca - afferma Pier Natale Mengozzi, presidente di Federsanità Anci e consigliere dell'Agenas - grande qualità dei risultati, coinvolgimento delle migliori intelligenze che si occupano di questi argomenti.

Ma una volta che il lavoro si è fatto - in conformità alle linee guida che ci hanno fornito ministero della Salute e Conferenza delle Regioni - bisogna capire in che modo il lavoro viene recepito dalle Regioni stesse. Questo è il vero punto. Altrimenti corriamo il rischio di lavorare per nulla. L'Agenzia è strumento delle Regioni, e va usato".

Pagina pubblicata il 01 ottobre 2008

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