I diritti dei cittadini disabili: una scelta di civiltà

Quello dell'integrazione delle persone con disabilità nella società italiana si presenta ai nostri occhi come un percorso lungo e tortuoso che ha attraversato più di treni'anni della storia più recente.

Da quando, sul finire degli anni sessanta, i disabili italiani e le loro famiglie presero progressivamente coscienza della condizione di sostanziale emarginazione che nella larga generalità vivevano nonché del fatto che era compito delle istituzioni e dell'intera comunità garantire quei diritti alla salute, all'istruzione, al lavoro, alla socialità che la Carta Costituzionale sancisce come base della cittadinanza.

Sono state infatti soprattutto le associazioni dei disabili e delle famiglie, tanto sul piano nazionale quanto nella quotidianità della vita sul territorio, ad imprimere quella costante spinta al cambiamento che ha determinato una forte accelerazione nell'innovazione legislativa e, fatto ancor più importante, un profondo cambiamento in quella che siamo soliti chiamare cultura dell'handicap.

Gli operatori più competenti e sensibili, una miriade di insegnanti, di amministratori locali, l'associazionismo, i giovani del volontariato, le organizzazioni sindacali hanno alimentato, hanno sostenuto e hanno accompagnato questo lungo processo. Un processo che trova un primo approdo all'inizio degli anni settanta con l'avvio del trasferimento di competenze dallo Stato alle regioni in materia di sanità, assistenza e formazione professionale e, soprattutto, con l'approvazione, il 30 marzo 1971, della legge 118 sull'invalidità civile.

Comincia in quel periodo a prendere corpo una prima rete di servizi che offrono alle famiglie una inedita opportunità di affrontare, in famiglia e nel territorio, i tanti problemi legati alla disabilità, in primo luogo l'assistenza e la riabilitazione. Proprio a partire da quelle esperienze comincia a delinearsi un'idea di riabilitazione che non si racchiude negli aspetti medici, ma si proietta all'esterno, perché comprende che l'atto medico può avere effetto solo e soprattutto se la persona, il disabile, vive una condizione che da un senso a quello stesso atto. L'inserimento sociale quindi non viene più visto come l'obiettivo da raggiungere, il dopo, ma al contrario diviene quella condizione die può ottimizzare e dare concretezza al paziente lavoro del terapista teso a migliorare il movimento, l'abilità, la capacità di comprensione.

Ecco perché gli operatori della riabilitazione escono dagli ambulatori e cominciano a bussare alle porte delle scuole. Scuole a quel tempo impreparate, prive dei necessari strumenti strutturali e culturali; scuole che si ritraevano, considerando la disabilità qualcosa che non apparteneva loro. Fu evidente la forzatura di quello che è stato definito «inserimento selvaggio» e che selvaggio indubbiamente un po' è stato.

Ma senza quella forzatura difficilmente avremmo avuto qualclie anno dopo la legge 5/7, gli insegnanti di sostegno e tutte quelle condizioni die fanno oggi dell'Italia il paese guida nel campo dell'integrazione scolastica, e non solo. Perché quando ogni mattina centotrentamila bambini e bambine, ragazzi, giovani si alzano, prendono la cartella e, superando l'handicap, vanno a scuola, si siedono al banco come tutti e si confrontano con tutto ciò che li circonda, pian piano cambia qualcosa nel profondo della cultura dell'intero paese. Da un lato un numero crescente di, persone prende coscienza della disabilità, si misura con essa, la conosce e si libera dei, tanti pregiudizi che I'avvolgono acquisendo consapevolezza dei bisogni e dei diritti di quelle persone. Nello tesso tempo nella mente di tanti, ragazzi e ragazze ,in carrozzina, con la sindrome di Down, non vedenti, sordi o con le più disparate patologie, prende corpo un'idea di sé e della propria vita diversa dal passato.

Comincia a farsi largo una generazione di giovani che hanno fatto di tutto per migliorare se stessi e, sostenuti dalle famiglie in un lungo faticoso e costoso cammino, si sono impegnati nella riabilitazione e nella scuola, hanno praticato sport, si sono dati al teatro o alla musica e, grazie a tutto questo, si sentono come gli altri perché vivono le stesse aspettative: vogliono lavorare, vogliono viaggiare, vogliono amare, vogliono formarsi una famiglia; sentono di poter vivere una vita indipendente.

Cosi, qualche tempo dopo, l'anno 1981 proclamato dall'ONU Anno Internazionale dell'Handicappato, offre l'occasione per promuovere. un ampio dibattito sulla disabilità per fare un bilancio» del cammino compiuto, ma soprattutto per capire come dare sbocco a quella spinta che chiede, qualcosa di nuovo, anzi qualcosa di più. Perché le questioni che il mondo della disabilità comincia a porre non richiedono solamente più servizi specializzati, come I'assistenza domiciliare, il centro diurno o la comunità alloggio, ma a volte presuppongono cambiamenti significativi nell'intera società, nel modo in cui si organizza e si progetta la vita quotidiana di tutti.

Ad esempio, richiede una scuola più attenta alla persona, ma anche spazi urbani accessibili a tutti, quindi non solo misure specifiche per la disabilità, ma istituzioni, attente alla diversità - a tutte le diversità - una qualità sociale e un ambiente di vita migliore per tutti.

Comincia nella sostanza a cambiare l'ottica con cui si affronta il problema. E ciò si riflette anche nel dibattito parlamentare che con una legge dalla lunga gestazione raccoglie i frutti dell'intenso lavoro seguito all'Anno Internazionale.

La legge 104 viene infatti approvata nel febbraio 1992 e contempla una vera e propria rivoluzione copernicana. Non si muove infatti nella ristretta ottica di promuovere alcuni servizi per i disabili, ma, al contrario, pone al centro la persona disabile, la sua famiglia, i suoi bisogni e chiama in causa tutte le istituzioni, pubbliche e private, perché facciano ciascuna la propria parte nel garantire alla persona disabile pari opportunità di integrazione e di affermazione di sé.

In parole povere sono le Ferrovie dello Stato a dover prevedere che stazioni e treni siano accessibili a tutti, sono le Telecomunicazioni ed è la Rai a far sì che ciechi e sordi possano seguire i programmi, sono le Capitanerie di Porto a vigilare affinché gli stabilenti balneari non neghino il diritto del disabile a farsi un bagno in spiaggia, è il CONI a promuovere lo sport; ad ASL e comuni spetta invece la responsabilità dei servizi sanitari e sociali, e. così via.

La 104, legge quadro sull'handicap, ha indubbiamente contribuito nell'ultimo decennio ad espandere il campo dei diritti delle persone disabili ed ha nel contempo posto le basi per ulteriori iniziative legislative sia delle regioni sia del Parlamento.

In particolare nella passata legislatura i governi di centrosinistra hanno avuto il merito di imprimere al processo un'accelerazione senza precedenti, dalle leggi 162 e 284 sulla vita indipendente e la disabilità grave, alla legge. 17 per l'accesso agli studi universitari, dalla legge 68 per il collocamento mirato al lavoro allo scivolo previdenziale per i disabili gravi, alle agevolazioni per i genitori che lavorano, al «dopo di noi» per chi resta privo del sostegno familiare, alle agevolazioni fiscali per i presidi riabilitativi e le automobili adattate per la guida e il trasporto dei disabili. Sono solo alcuni dei risultati di un'azione di governo che prendeva corpo nel confronto permanente con le associazioni e, le organizzazioni sindacali nell'ambito della Consulta Nazionale e che visse il suo momento alto nella prima Conferenza Nazionale per il superamento dell'handicap promossa dal Governo a Roma nel dicembre 1999.

Oggi, dopo l'opaco e deludente Anno europeo della persona disabile e una seconda Conferenza sull'handicap a Bari, declassata a vacua passerella di ministri inadempienti, quella stagione sembra lontana. Mentre le politiche regressive in materia di welfare, i tagli ripetuti al Fondo per le politiche sociali, i sempre più scarsi finanziamenti ai comuni, gli attacchi al diritto al lavoro rischiano di compromettere conquiste faticosamente acquisite.

Ebbene, proprio oggi, potrebbe risultare utile rileggere il dibattito di quelle tre giornate, i documenti conclusivi della conferenza e soprattutto quel Programma di Azione per il superamento dell'handicap che recepisce le proposte della Conferenza adottate dal Governo nel luglio del 2000 e che l'attuale esecutivo ha ritenuto dì dover riporre in un cassetto. In attesa che qualcuno riapra quel cassetto - ci auguriamo presto - e che l'azione riformatrice possa riprendere forza, l'iniziativa dell'INCA-CGIL di redigere e pubblicare una guida ai diritti delle persone con disabilità va salutata come un importante ed utile contributo al lavoro di questi anni.

Importante perché, fotografa un quadro di opportunità frutto di uno sforzo e di un lavoro corale del mondo della disabilità, di tanti operatori e delle istituzioni. Utile porchè nei meandri della burocrazia e nella complessità delle norme non sempre è agevole per la persona disabile e la sua famiglia cogliere tutte le, opportunità che oggi possono facilitarne la vita quotidiana.

La pubblicazione può contribuire a rilanciare il tema della disabilità nel dibattito politico e culturale del Paese e a dare spunti, motivazioni e contenuti forti a quanti credono che la sfida della globalizzazione non si vince negando diritti ma, al contrario, superando ogni forma di assistenzialismo ed ottimizzando l'impiego delle risorse. E i disabili hanno dimostrato in questi anni di poter essere non un peso, ma una risorsa per il Paese.

Augusto Battaglia Commissione Affari Sociali della Camera dei Deputati

Dicembre 2006

5xmille

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