Hai abortito? Non puoi stare al pronto soccorso ginecologico

Segnalo l'esperienza che ho avuto a fine marzo 2019 all'Ospedale San Giovanni di Roma, preferendo rimanere anonima.

A causa di un'iperemesi gravidica che mi impediva di alimentarmi, il mio compagno mi ha portata al pronto soccorso di Ginecologia dopo tre giorni di digiuno.

Ho scoperto di avere una gravidanza gemellare. Sono stata idratata con due flebo, ho rifiutato il ricovero con la raccomandazione di sforzarmi di mangiare e sono tornata a casa.

Il giorno successivo sono tornata allo stesso pronto soccorso, ancora (più) digiuna. Sono stata idratata e sono andata via di nuovo, con la raccomandazione di sforzarmi di mangiare e di prendere lo zenzero (Nausil). Mi sono sforzata, ma non sono riuscita nemmeno a ingerire il Nausil. Però ho continuato a vomitare, e a perdere peso. Le dottoresse non sapevano il nome del nuovo farmaco, il Nuperal, indicato per casi come il mio.

Dopo due giorni di altro digiuno e di altro vomito ininterrotto, sono tornata al pronto soccorso ormai in pessimo stato, e stavolta ho accettato il ricovero.

Tremavo, ero in acetosi, sottopeso, disidratata e denutrita. C'era battito per entrambi gli embrioni, e questa è sembrata essere l'unica cosa importante, mi è stato spiegato che sostanzialmente stavo bene. E sono stata ricoverata.

Tra un crocifisso, una madonna, la visita di un prete desideroso di farmi la comunione e di altri volontari religiosi che volevano fare quattro chiacchiere con me, il ricovero è andato bene, sono stata idratata e mi sono stati somministrati antiemetici, e sono stata dimessa dopo due giorni. Mi è stato chiaro dal primo istante di trovarmi in un ambiente tutt'altro che laico. Oltre all'arredamento, c'erano le risposte dei medici alle mie domande su come avrebbe potuto configurarsi per me la gravidanza: poco chiare circa i rischi ed evasive quando facevo domande sugli screening prenatali.

La mia vicina di letto era ricoverata per un aborto spontaneo, eppure doveva condividere la stanza con me ed un'altra gestante (al settimo mese).

Nel frattempo, prima del ricovero, avevo avviato, con l'assistenza dalla ginecologa del Consultorio "Denina", le pratiche per l'interruzione volontaria di gravidanza, che, considerato il mio stato, hanno ottenuto una data molto ravvicinata. Ho effettuato l'IVG quattro giorni dopo le mie dimissioni sempre al San Giovanni, nella zona dedicata a questi interventi, che sta allo stesso piano del reparto di Ginecologia dove ero stata ricoverata, ma nell'altra ala.

Di tutto il mio decorso era il momento in cui ho avuto più paura, eppure tra me e le altre donne in attesa nella stanza c'era una silenziosa "sorellanza". Quella più in forze comunicava con il telefonino con chi ci aspettava fuori.

Per fortuna hanno scelto di operare me per prima. Complici le mie precarie condizioni generali di salute, dopo l'intervento, sono svenuta.
Sono stata condotta in barella al Pronto Soccorso di Ginecologia, l'ultimo posto dove sarei voluta tornare. Con un filo di voce avevo supplicavo al mio compagno di non farmi fare il triage. L'ostetrica, infatti, ha spiegato che al pronto soccorso di ginecologia non avrebbero potuto seguirmi perché, dopo un'IVG, ormai il mio problema di salute non era più di pertinenza del reparto di maternità.
Mi avrebbero dovuta spedire al Pronto Soccorso generale, insieme a fratturati, polmoniti, intossicati. Non so quale dei due pronto soccorso avrei avuto meno voglia di visitare.

La dottoressa che mi ha operato (…..), avvertita che una delle pazienti operate aveva perso i sensi, si è precipitata al pronto soccorso per controllare cosa fosse successo. E' stata con me mentre il mio compagno cercava dello zucchero e poi, verificato che potevo cavarmela, si è dovuta allontanare. Si è allontanato anche il mio compagno per avvicinare la macchina e portarmi a casa.

In quel mentre è passata accanto alla mia barella una delle dottoresse che mi aveva visitata durante il ricovero. Mi ha riconosciuta, mi ha sorriso, mi ha chiesto gentilmente cosa fosse successo. Alla mia risposta, è andata via con un “Ah!”.

Riceviamo e pubblichiamo su richiesta della signora che vuole restare anonima. Tuttavia, per eventuali repliche o chiarimenti (in privato), siamo autorizzate a contattarla.

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8 aprile 2019

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