Ue: sull’aborto l’Italia calpesta i diritti delle donne

Otto marzo un corno, altro che festa e rametti di mimose. L’Italia in realtà calpesta la vita e i diritti delle donne. Il documento redatto dal Consiglio d’Europa che condanna il nostro Paese per la violazione della legge 194.

L’Italia maltratta le sue donne, questa è la sintesi di questo 8 marzo. Di tutto si può parlare ma non di festa in un Paese senza parità, con problemi di occupazione in cui ancora le donne firmano le dimissioni in bianco ai loro datori di lavoro per essere cacciate se rimangono incinta.

Una realtà che sfiora l’oppressione dei diritti, se sei incinta perdi il lavoro, se vuoi abortire ti scontri con il problema degli obiettori di coscienza.

Il documento del Comitato europeo dei diritti sociali non fa sconti: “A causa dell’elevato e crescente numero di medici obiettori di coscienza, L’Italia viola i diritti delle donne che alle condizioni prescritte dalla legge 194 del 1978, intendono interrompere la gravidanza”.

Insomma, l’interruzione volontaria di gravidanza in Italia è solo sulla carta. In realtà è impossibile in molte Regioni. Nero su bianco messo giù dal Consiglio d’Europa, di cui il Comitato è un organismo.

Si tratta di un fatto eccezionale, forse quello che va davvero festeggiato in questo 8 marzo, perché è la prima volta che l’Italia viene condannata in modo così esplicito.

La situazione

In Italia il numero degli aborti eseguiti nel 2012 è stato di 105.968, in diminuzione rispetto all’anno precedente del 4,9%. Tra le minorenni il tasso di abortività nel 2011 è stato del 4,5 per mille.

In moltissime Regioni la percentuale di medici obiettori arriva all’85%. La maglia nera ce l’ha il Lazio con il 91,3% dove è davvero difficile eseguire un’interruzione di gravidanza.

Al Sud la situazione non è migliore, in Puglia i medici obiettori sono l’89%, seguono il Molise con l’86% e la Basilicata con l’85%.

In questa situazione aumentano gli aborti clandestini, la vera piaga che la legge 194 doveva sanare. Le italiane che abortiscono clandestinamente sono circa 20 mila, le straniere immigrate arrivano a circa 40 mila.

Donne rifiutate da moltissimi ospedali che hanno chiuso i reparti, costrette a mendicare da provincia in provincia con il rischio di andare fuori tempo massimo dei limiti previsti dalla legge.

I medici non obiettori sono sempre meno e sempre più su con l’età, il rischio è che tra pochi anni non resti più nessuno ad assicurare l’applicazione della 194.

La legge garantisce alle donne il diritto di abortire e ai medici quello di obiettare, ma è chiarissima sul fatto che la struttura pubblica deve assicurare comunque il servizio.

Tuttavia tra la latitanza della politica e quella dei vertici ospedalieri le strutture vengono gradualmente soppresse, e con esse il diritto delle donne.

Cosa può cambiare adesso

Il documento di condanna è il coronamento del grande impegno profuso dalla Ippf (International Planned Parenthood Federazion European Network) e la Laiga (l’Associazione italiana di ginecologi per la l’applicazione della legge 194), presieduta da Silvana Agatone.

Quello depositato l’8 agosto del 2012 con il numero 87 è un “reclamo collettivo” che oggi diventa un atto di accusa ed un avvertimento all’Italia.

Le donne e le associazioni avranno ora l’opportunità di avviare azioni legali contro gli ospedali che non rispettano la legge.

Potranno farlo proprio grazie al documento europeo, come è successo con la legge 40 sulla fecondazione assistita, demolita a colpi di sentenze emesse da tribunali europei ed italiani.

Silvana Agatone, presidente della Laiga, non può che essere soddisfatta. Per anni ha denunciato la situazione italiana, dal tormento delle donne lasciate sole alla chiusura dei reparti destinati alle Ivg. Ha raccolto i dati necessari che oggi inchiodano e condannano l’Italia.

“Dopo trent’anni dall’applicazione della 194, ancora oggi dobbiamo difenderla con le unghie e con i denti”, commenta Lisa Canitano dell’Associazione Vita di Donna.

“Grazie al documento della Commissione – aggiunge la ginecologa - avremo uno strumento in più, quello di denunciare i responsabili degli ospedali per la mancata applicazione della legge. E lo faremo, ci stiamo già attrezzando chiedendo anche alle donne di segnalarci dove e come i loro diritti non sono stati rispettati”.

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