L'aborto nel contesto legale, sociale e del sistema sanitario

Aborto nel mondo

In tutto il mondo, l'aborto è una delle procedure ginecologiche più comuni. La comune ricorrenza all'aborto, tuttavia, smentisce una rilevante diversità nel significato sociale, politico ed etico nel portare a termine una gravidanza così come nelle pratiche che riguardano l'aborto.

Questi, infatti, variano da luogo a luogo, da un mo-mento storico a un altro, e tra le diverse classi sociali nel contesto di un particolare tempo e luogo.
In questo numero speciale, fatto di due parti, presentiamo una borsa di studio femmi-nista che affronta alcuni dei diversi contesti e le circostanze in cui l'aborto avviene e le varie implicazioni psicologiche.

Questa pubblicazione, "Femminismo e psicologia", 27(1), è la prima parte dell'edizione speciale "l'aborto in un contesto"; la seconda parte uscirà in Maggio 2017 come 27(2).

Nella prima parte verranno esplorati i fattori legali, socioculturali e del sistema sanitario legati all'aborto. Questi contesti impostano le condizioni che rendono possibile alle donne che lo desiderano, di interrompere una gravidanza e, in una certa misura, anche alle professioniste che rendono il servizio. La seconda parte sarà dedicata a articoli che si focalizzeranno sulle esperienze delle donne riguardo l'aborto - per esempio, la difficoltà nel prendere questa decisione, la paura di essere etichettate dalla società, l'inevitabile stress che segue la procedura - ed esaminerà in che modo le loro esperienze vengono integrate, incorporate nei contesti discorsivi, istituzionali e materiali della loro vita.

Finora, Feminism & Psychology, ha riportato alcuni articoli in materia di aborto, gravidanze indesiderate o contraccezione. La scarsità di attenzione per l'aborto è in netto contrasto con la grande attenzione data alle relazioni eterosessuali e al (etero)sesso.

Considerato che una parte sostanziale delle donne è verosimilmente portata a interrompere una gravidanza con una procedura abortiva almeno una volta nell'arco della vita, il tema dell'aborto merita indubbiamente maggiore considerazione.

Ci auguriamo che questo numero speciale serva a dirigere l'attenzione delle psicologhe femministe alle domande circa l'aborto.

Il tema dell'aborto è di grande attualità e di grande rilevanza per le femministe. Negli ultimi mesi, l'accesso delle donne all'aborto è stato contestato in varie parti del mondo.

In molti paesi dell'America Latina, l'epidemia di Zika ha notevolmente incrementato la domanda di aborti tra le donne in gravidanza che avevano contratto (o temuto di aver contratto) il virus, con il rischio di gravi anomalie fetali.

In Polonia, le manifestazioni di massa da parte delle donne sono riuscite a rimandare la proposta di legge che proponeva di vietare gli aborti.

Il risultato delle elezioni degli Stati Uniti alla fine del 2016 ha sollevato gravi preoccupazioni per il futuro riguardante l'accesso delle donne americane all'aborto, già limitato da normative rigorose e con restrizioni di finanziamento.

Abbiamo scelto il titolo ''L'aborto in un contesto'' per evidenziare il nostro tentativo di pubblicare un lavoro che si muovesse al di là dell'esaminare l'aborto come "esperienza stressante'' sperimentata dalle singole donne o come possibile precursore di malattia mentale. L'obiettivo era piuttosto quello di assemblare una serie di articoli che inducessero i lettori a pensare in modo critico sulla pratica e sulle discussioni inerenti l'aborto.

Abbiamo inoltre sperato di includere un lavoro che affrontasse i significati e le pratiche abortive nel Sud del mondo e tra i gruppi minoritari del Nord.

Siamo rimasti soddisfatti dalla risposta entusiastica al nostro "reclutamento per articoli". Prendiamo atto che Eklund e Purewal (2017, questo numero) affrontano l'aborto in Cina e India. Thoradeniya (2017, questo numero) passa in rassegna l'aborto in Asia (Whittaker, 2010) fornendo un assaggio delle complesse e varie pratiche, politi-che ed esperienze di aborto in alcune parti del Sud e Sud-Est asiatico.

Chiweshe, Mavuso, e Macleod (i cui lavori appariranno nella seconda parte di questa edizione speciale) si sono occupati dell'aborto in Sud Africa e Zimbabwe.

Le Grice and Braun (il cui lavoro apparirà nella seconda parte di questa edizione speciale), hanno esaminato le prospettive Maori riguardo l'aborto.

In questa parte 1 del numero speciale, vi presentiamo il lavoro che individua le pratiche e le politiche di aborto nei contesti legali, sociali e di assistenza sanitaria.

Gli sforzi delle donne per esercitare il proprio diritto di scelta per quanto riguarda la loro integrità fisica nel contesto della gravidanza sono ovviamente plasmate soprattutto dalle normative di legge vigenti nelle giurisdizioni in cui vivono, ma sono anche influenzati da questioni sociali e culturali, progressi biotecnologici e sistemi sanitari. Gli articoli offrono un dettagliato esame di alcune di queste complesse inquadrature in merito all'aborto.

I Contesti legali dell'aborto

Il contesto giuridico per l'aborto - ammesso che lo Stato permetta di ricorrere a prati-che abortive e tenendo conto di come regoli le stesse - stabilisce i termini e le condizioni non solo per i professionisti che forniscono il servizio ma anche per le donne che vi fanno ricorso. All'inizio del 20° secolo, l'aborto era illegale in quasi tutti i paesi del mondo.

Sembra che la Cina sia l'unico paese che non abbia posto restrizioni penali sull'aborto (Berer, 2016). Durante la seconda metà del 20 ° secolo, tuttavia, un certo numero di paesi ha promulgato delle leggi che hanno permesso l'aborto per motivi specifici. Questo allentamento delle restrizioni sull'aborto ha costituito parte di un ampio movimento sociale nella direzione di maggiori diritti per le donne.

Attualmente, le circostanze in cui l'aborto può essere eseguito legalmente variano molto da paese a paese. A un estremo ci sono paesi (come il Cile e Nicaragua), in cui praticamente non ci sono ragioni in base alle quali risulti legale interrompere una gravidanza. All'altro estremo troviamo paesi in cui le leggi impongono pochissime restrizioni, che non siano il limite riguardante l'età gestazionale.

L'accesso legale all'aborto varia notevolmente tra le regioni del mondo

Il Centro per i Diritti Riproduttivi (di seguito indicato come CDR, 2014) ha raggruppato i paesi in quattro categorie da ''più restrittivi'', in cui l'aborto è vietato del tutto o consentito solo nel caso in cui si permettesse con tale procedura di salvare la vita a una donna, a ''meno restrittivi'', dove non vi sono restrizioni inerenti il motivo per il quale si sceglie di porre termine a una gravidanza.

Nel complesso, il CDR ha riferito che, al momento, il 60% della popolazione mondiale viveva in paesi in cui l'aborto era consentito senza restrizioni in merito alla ragione o a una vasta gamma di ragioni. Tuttavia, oltre il 25% viveva nei paesi in cui l'aborto era generalmente proibito. Inoltre, l'Organizzazione Mondiale della Sanità (2011) ha stimato che dei 21,6 milioni di aborti non sicuri che ha avuto luogo a livello globale nel 2008, 21,2 milioni si è svolta regioni del mondo "in via di sviluppo"'; queste regioni legiferavano tipicamente in modo più restrittivo in materia di aborto.

Le categorizzazioni CDR nascondono una ulteriore variante all'interno di particolari paesi per quanto riguarda la disponibilità, l'accessibilità e la possibilità economica di aborto per specifici gruppi di donne. Date le differenze nelle classi sociali, nelle razze e le disuguaglianze nella localizzazione stessa all'interno dei paesi, le donne non hanno pari accesso alle cure, a prezzi accessibili, in contrasto con i parametri delle leggi del paese.

Inoltre, molti paesi hanno ulteriori norme che limitano l'accesso delle donne all'aborto in vari modi. Negli Stati Uniti, ad esempio, un mosaico di normative locali (cioè dello Stato), i requisiti e le restrizioni pongono numerosi ostacoli alle donne che hanno bisogno di abortire. Come Beckman (2017) e Sisson e Kimport (2017, questo numero) sottolineano, il peso di questi ostacoli ricade in modo sproporzionato sulle donne povere. Inoltre, negli U.S.A., il numero di tali restrizioni è in continuo aumento, promosso dall'attivismo antiaborto.

Anche quando legalmente consentiti, il locus del processo decisionale non può riposare con la donna. In alcuni paesi, le donne possono interrompere volontariamente una gravidanza entro una certa data di gestazione; in altri, invece, un medico deve certificare che l'aborto è l'alternativa più indicata.

Come McCulloch e Weatherall (2017, questo numero) e Lee (2017, questo numero) fanno notare, quest'ultima alternativa è verosimile in Aotearoa/Nuova Zelanda e in Gran Bretagna.

Nonostante le studiose femministe in Gran Bretagna siano critiche verso il paternalismo implicito nel conferire un tale potere decisionale ai medici, sottolineano come in pratica, la legislazione britannica abbia facilitato l'accesso liberale all'aborto (Lee, 2004; Sheldon, 2016). Il processo decisionale dei medici può risultare relativamente positivo in alcune situazioni. Ma in altre, la regolamentazione statale in materia di aborto mina l'autonomia e il potere decisionale delle donne. In alcuni luoghi e tempi, le donne sono state costrette a interrompere le loro gravidanze.

Come Eklund e Purewal (2017, questo numero) descrivono, tra il 1979 e la fine degli anni Novanta, la Cina ha imposto ai suoi cittadini una serie di misure per controllare la crescita della popolazione. Queste includevano screening obbligatori delle donne per le gravidanze non autorizzate e l'aborto forzato. La legislazione formale, tuttavia, non fornisce il quadro completo.

Ci sono molti casi di slittamento tra la legislazione e la pratica vera e propria dell'aborto. Le leggi possono essere suscettibili di libera interpretazione, permettendo ai professionisti e alle loro pazienti un margine di discrezionalità nel decidere terminare una gravidanza. Ad esempio, come McCulloch e Weatherall (2017, questo numero) sottolineano, anche se l'aborto è criminalizzato in Aotearoa/Nuova Zelanda, le donne hanno un buon accesso alla pratica.

In altri casi, statuti che limitano l'aborto a situazioni in cui la vita della donna è a rischio, sono più ampiamente interpretati per includere la possibilità di suicidio della stessa. In altri casi ancora, la legge è ampiamente - anche se non apertamente - violata. Nello Sri Lanka, per esempio, anche se gli aborti sono consentiti solo per preservare la vita della madre, gli aborti indotti sono molto comuni. Si stima che quasi il 45% di tali aborti vengono effettuati da medici qualificati (Arambepola&Rajapaksa, 2014). Allo stesso modo, in Zimbabwe, nonostante le basi giuridiche in merito all'aborto risultino abba-stanza ristrette, sembra che vi sia un alto tasso di aborti indotti (Chiweshe, 2015).

In Cina e in India, Eklund e Purewal (2017, questo numero) sottolineano come le politiche che proscrivevano l'aborto sessoselettivo, non sono state in grado di eliminare il fenomeno. In altri casi ancora, le politiche sanitarie possono essere dissonanti con statuti legali. In Bangladesh, per esempio, nonostante la legge proibisca l'aborto, le politiche governative concedono le cosiddette regolarizzazioni del ciclo mestruale, fino a oltre 10 settimane dopo un ciclo mestruale mancato (Whittaker, 2010).

La possibilità di "scelta" e i "diritti" sono stati i principi cardine su cui si è basata la corrente principale di difesa femminista per la legalizzazione e l'accesso all'aborto nei paesi ad alto reddito occidentali. Ideati da una teoria politica liberale, questi principi non solo riconoscono e supportano l'autonomia delle donne nel prendere decisioni sui loro corpi, ma mandano anche un messaggio chiaro secondo cui lo Stato deve desistere dalla regolazione della vita riproduttiva delle donne (Ferree, 2003).

Nonostante le molte critiche che hanno pervaso i concetti di "scelta" e di "diritti", molti sostenitori femministi sostengono che dovrebbero rimanere il nucleo di difesa riguardante l'aborto (Ferree, 2003). McCulloch e Weatherall (2017, questo numero) assumono questa posizione nella loro discussione in merito all'aborto in Aotearoa/Nuova Zelanda. Evidenziando l'incoerenza tra la legislazione e la pratica dell'aborto in Nuova Zelanda, essi sostengono un approccio femminista liberale pragmatico. La chiave pragmatica della loro posizione consiste nell'individuare nelle gravidanze indesiderate un problema medico, non legale o morale. Abbinare questa visione con il diritto delle donne di agire autonomamente, sostengono, offrirebbe un utile quadro di riferimento per considerare l'aborto.

Il contesto sociale dell'aborto

Statuti e regolamenti legali non sono, naturalmente, gli unici fattori che influenzano l'accesso delle donne all'aborto, il loro potere e la loro autonomia nella decisione di abortire e nelle loro esperienze di aborto. Norme e valori culturali in merito all'aborto differiscono ampiamente in tutto il mondo. Alcune società (come Cuba, Giappone, e alcune società post sovietiche) sono state talvolta connotate da una cosiddetta "cultura dell'aborto".

Vale a dire, l'aborto è ampiamente considerato come un modo non clamoroso di porre fine ad una gravidanza indesiderata o insostenibile (BE Langer&Flynn, 2009; Karpov & Kaumlariainen, 2005). Alcune religioni sollevano obiezioni morali per terminare una gravidanza con l'aborto indotto.

Alcune donne pie, che affrontano una gravidanza indesiderata o insostenibile possono sperimentare una notevole difficoltà nel sopportare il corso delle loro azioni. Le donne possono anche trovarsi nella condizione di affrontare obiezioni religiose o morali imposte dai loro coniugi e familiari. Al di là dei dilemmi morali personali, l'opposizione all'aborto da parte delle religioni istituzionalizzate a volte costituisce un ostacolo significativo per l'accesso delle donne all'aborto.

Buoni cattolici (Miller, 2014), recensito da Mavuso e Chiweshe (2017, questo numero) fornisce dettagli su come la gerarchia della Chiesa cattolica degli Stati Uniti non solo abbia condannato la pratica dell'aborto e della contraccezione artificiale, ma abbia anche svolto una vigorosa campagna volta a influenzare le politiche elettorali locali e nazionali, nella speranza di limitare l'accesso all'aborto a tutte le donne.

In generale, i paesi con una maggioranza cattolica rilevante hanno una legislazione molto restrittiva in merito all'aborto; esempi includono Malta, Repubblica Dominicana, El Salvador, Nicaragua, Cile e Città del Vaticano. Fattori culturali oltre alle diverse credenze religiose influenzano anche le politiche di aborto, pratiche e decisioni individuali.

Come Eklund e Purewal (2017, questo numero) sottolineano, pressioni riguardo al tenere i figli maschi piuttosto che le figlie, hanno condotto ad aborti sessoselettivi in India e Cina. Queste pressioni, che hanno una connotazione sia culturale che economica, sono state sufficientemente forti da produrre squilibri evidenti nei rapporti sessuali all'interno delle popolazioni di questi paesi.

Come gli autori sostengono, la bio-politica finalizzata al controllo della popolazione e degli aborti sesso-selettivi, ha limitato il potere decisionale delle donne, ma nessuno dei due paesi ha affrontato adeguatamente i contesti in cui la preferenza di un figlio moduli il processo decisionale riguardo l'aborto.

Il ruolo dei media nel plasmare ed essere plasmato da discorsi pubblici, intese e atteggiamenti circa l'aborto ha ricevuto di recente l'attenzione della letteratura (Macleod & Feltham-King, 2012; Purcell, Hilton, e McDaid, 2014). Tre articoli in questa edizione riguardano il potere dei media.

Sisson e Kimport (2017, questo numero) mostrano come rappresentazioni dell'aborto nella televisione americana minimizzino gli ostacoli all'aborto; se tali barriere riescono ad essere raffigurate, vengono rappresentate come facilmente superabili. Inoltre, Lee (2017, questo numero) analizza la copertura dei quotidiani in Gran Bretagna, insieme ai dibattiti parlamentari e ai documenti ufficiali, per quanto riguarda il possibile verificarsi di aborto sesso-selettivo in Gran Bretagna.

Esamina i modi in cui i protestanti (gli attivisti) abbiano fatto degli aborti sesso-selettivi un problema sociale, macchiando la reputazione di gruppi di migranti dell'Asia meridionale e dif-famando i medici che forniscono aborti come trasgressori di legge putativi. Nel terzo articolo, Evans (2017, questo numero), in una review di politiche abortive, mass media, e movimenti sociali in America (Rohlinger, 2015), sottolinea le mutevoli strategie di comunicazione delle organizzazioni pro-choice e anti-aborto in Nord America.

Questi articoli sono un forte promemoria, che deve ricordarci che le esperienze di a-borto sono sempre "contestualizzate", un punto che Lewis (2017, questo numero) fa nella sua recensione di La Condizione Fetale (Boltanski, 2013). Lewis sostiene inoltre che le analisi meta-teoriche di aborto devono sempre essere messe a terra nei contesti delle classi sociali, delle discriminazioni razziali, dei confini geopolitici e neocoloniali di vita riproduttiva delle donne.

I sistemi sanitari e le tecnologie biomediche, come contesti di aborto

I sistemi sanitari e le tecnologie biomediche sono una parte cruciale del contesto dell'aborto (Cockrill & Nack, 2013). Ad esempio, in molti paesi, ci sono troppo pochi professionisti disposti a praticare aborti (Lohr, 2008). In alcuni casi (come in alcuni luoghi negli Stati Uniti), il rifiuto dei medici di eseguire aborti derivano dalle minacce di molestie, violenza fisica, o la distruzione di proprietà da parte degli attivisti anti-abortisti.

In altri casi, tali rifiuti possono riflettere riserve morali. La pratica di obiezione di coscienza può rendere l'accesso all'aborto sicuro difficile o addirittura impossibile (Berer, 2008; Consiglio d'Europa, Assemblea parlamentare, 2010; De Zordo, 2017). L'introduzione nel 2000 di farmaci che inducono l'aborto ha offerto nuove possibilità di accesso all'aborto.

Negli Stati Uniti, ad esempio, aborti farmacologici (anche noti come aborti medici o "aborti pillola") rappresentano attualmente circa il 25% degli aborti che vengono registrati nelle cartelle cliniche.

L'utilizzo di tali farmaci abortivi è consentito dalle agenzie di regolamentazione degli Stati Uniti (in particolare, l'FDA) fino alla fine del 10° settimana di gravidanza. La possibilità di amministrare questi aborti farmacologici tramite la telemedicina (ad esempio ricorrendo a un video-appuntamento con i medici) sono in fase di studio (Galewitz, 2016).

A parte l'utilizzo di pillole in ambienti medici, le donne ricorrono alle pillole abortive anche nei casi in cui gli aborti siano illegali, troppo costosi, o comunque di difficile accesso. Una tecnologia che infine vale la pena ricordare, anche se non si tratta di una tecnologia prettamente medica, è Internet. Un ampio accesso a Internet ha reso possibile alle donne l'ottenimento di pillole abortive laddove non avessero altrimenti avuto accesso alla procedura.

L'organizzazione Women on Web, ad esempio, fornisce oltre 1000 aborti farmaceutici l'anno alle donne in Irlanda (Repubblica d'Irlanda e Irlanda del Nord), dove gli aborti non possono essere eseguiti tranne che per salvare la vita di una donna o (in Irlanda del Nord) per preservare la sua salute fisica o mentale permanente (Aiken, Gomperts, e Trussell, 2016). Inoltre, quando l'epidemia Zika è scoppiata nell'estate del 2016, Women on Web ha sperimentato un picco drammatico della domanda di pillole abortive in donne affette da Zika nei paesi latino-americani che proibiscono l'aborto (Aiken et al., 2016).

Questioni delicate

Molte delle questioni riguardanti l'aborto sono complesse, ma alcune questioni con cui si confrontano le femministe sono particolarmente complesse, soprattutto per quel che riguarda il pensare in autonomia e i "diritti" in relazione all'aborto. Due tra queste questioni delicate riguardano l'aborto sesso-selettivo e l'aborto in relazione alle anomalie fetali.

La logica (liberale) di accordare a una donna il diritto di decidere l'esito della sua gravidanza significa estendere questo diritto a una donna che vuole interrompere la sua gravidanza a causa del sesso del feto o a causa di una anomalia fetale (non importa quanto minore o quanto in basso la probabilità che si verifichi).

Questa è chiaramente una presa di posizione controversa, non solo da una prospettiva femminista, ma anche dal punto di vista più generale di una intersezione che connette molteplici forme di oppressione (disabilità e genere, per esempio). Gli approcci femministi che consentono argomentazioni più sfumate sono molto più necessari in questi casi. In questo numero, due articoli offrono una stima contestualizzata di aborti sesso-selettivi: Eklund e Purewal (2017, questo numero) e Lee (2017, questo numero). Leggendo questi rapporti e confrontandoli, questi conti forniscono informazioni attraverso contesti nazionali - Gran Bretagna, India, e Cina.

Analizzando recenti dibattiti in Gran Bretagna per quanto riguarda l'aborto sesso-selettivo, Lee (2017, questo numero) sostiene che l'aborto sia stato reso un problema in un modo nuovo nel contesto di questi dibattiti, in parte attraverso affermazioni non supportate di "omicidio di genere".

Questo, Lee indica, dovrebbe essere preso in considerazione insieme con argomentazioni sul potere riversato sulla comunità medica nella "raccomandazione" di un aborto nell'ambito della legislazione britannica. Eklund e Purewal (2017, questo numero) affrontano la questione in relazione alla Cina e all'India. Entrambi i paesi hanno messo in atto politiche per vietare l'aborto selettivo sulla base del sesso. Gli autori mostrano come queste politiche si trovino all'interno della bio-politica di controllo della popolazione (e non riflettono le preoccupazioni femministe). Come tali, le politiche non riescono ad affrontare le dinamiche relative alla fase decisionale di aborto e gli effetti che tali politiche hanno sulle donne nel contesto delle norme culturali che favoriscono gli uomini alle donne.

Le tecnologie mediche, come i sempre più sofisticati screening prenatali, le avanzate tecniche di chirurgia fetale e le procedure di terapia intensiva neonatale, hanno trasformato un embrione/feto in un "paziente", che è un nuovo soggetto bio-politico che ha diritto all'assistenza sanitaria (Morgan, 2009; Morgan & Roberts, 2012).

Stephenson, Mills e McLeod (2017, questo numero) discutono in merito a una di queste tecnologie, l'ecografia ostetrica, e la sua capacità di individuare reali o potenziali anomalie fetali. Stephenson e i suoi colleghi affrontano la questione degli aborti successivi al secondo trimestre in seguito alla diagnosi di anomalie fetali.

Essi sollevano importanti questioni etiche su come la vita fetale venga valutata tramite ecografia ostetrica, che concede sia l'attribuzione di una personalità al feto sia la possibilità di selezionarlo per interrompere la gravidanza. Nella loro ricerca, Stephenson e i suoi colleghi mostrano come gli operatori sanitari che lavorano in cliniche che forniscono scansioni gestazionali replichino il silenzio pubblico sulle questioni etiche, circoscrivendo il loro ruolo nel fornire informazioni alle donne e ai loro partner, che sono poi lasciati a decidere in totale autonomia in merito all'esito della gravidanza.

Conclusioni

Il divieto legale della procedura abortiva non impedisce alle donne che ne hanno bi-sogno di ottenerla. In effetti, i tassi di aborti sembrano essere leggermente superiori (37 aborti ogni 1000 donne tra il 2010 e il 2014) nei paesi in cui l'aborto è vietato o fortemente limitato rispetto ai paesi in cui è disponibile su richiesta (34 per 1000 donne) (Sedgh , Ashford, e Hussain, 2016).

Questa scoperta sorprendente sottolinea l'importanza fondamentale dell'aborto nelle vite riproduttive delle donne in tutto il mondo. Tuttavia, l'accesso delle donne a un aborto sicuro e a costi accessibili differisce sostanzialmente da un posto all'altro. Inoltre, l'accesso all'aborto ha spesso dimo-strato di essere debole. Gli articoli di questa prima parte dell'edizione speciale affrontano alcuni di questi problemi.

Negli ultimi anni, molti psicologi che studiano l'aborto sono stati trascinati in dibattiti circa la portata e la gravità delle conseguenze psicologiche negative dell'aborto e anche l'esistenza di un disturbo psichiatrico chiamato ''sindrome post-aborto'' (ad esempio, Coleman, 2011; Maggiore et al., 2009). Il che non sorprende affatto, date le asserzioni persistenti ma infondate di anti-abortisti circa la grave sofferenza psicologica a seguito di un aborto. Gli articoli di questo numero speciale, però, puntano verso direzioni più fruttuose per la borsa di studio femminista.

Sottolineano piuttosto la miriade di influenze contestuali che modellano le esperienze delle donne e la visione pubblica circa l'aborto. Essi sottolineano anche i significati mutevoli dell'aborto in risposta alla politica, ai progressi biomedici e ai discorsi pubblici. Questi articoli, crediamo, possano approfondire e arricchire la nostra conoscenza in merito all'aborto. Siamo fieri di presentarveli.

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Traduzione di Federica Porciello

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